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Jonathan Edwards2

IAIN MURRAY

Recensione pubblicata su «Riforma» del 11 luglio 2003, p. 13

Se pensiamo a come alcuni hanno inteso e intendono la tradizione, affiancandola alla Scrittura e riconoscendo in essa una fonte d’autorità, possiamo forse essere tratti a guardarla con sospetto. Rammentiamo però che, come recita l’antico adagio, abusum non tollit usum: v’è un senso in cui la tradizione non contraddice affatto all’unicità della Scrittura come fonte di rivelazione, purché in essa si veda non un’autorità quanto piuttosto un interlocutore. Ma l’indispensabilita di un siffatto interlocutore può essere colta solo in un'ottica ecclesiologica: la tradizione è la via che i testimoni della verità hanno percorso nel passato, ed esprime la profonda comunione che ci lega a essi. Non si ha qui a che fare con una questione meramente storiografica: la tradizione (e intendo la tradizione teologica), manifestando per un verso la distanza temporale fra noi e chi ci ha preceduti, mostra allo stesso tempo quanto siamo a essi uniti, perché condividiamo lo stesso «contesto» della chiesa di Gesù Cristo, e soprattutto il medesimo costante riferimento alla verità dell’Evangelo.

La biografia di Jonathan Edwards, che l’editore Alfa & Omega ci offre, permette di conoscere un brano significativo della nostra tradizione, ricostruendo la vita di un personaggio tanto importante quanto controverso della storia del protestantesimo anglosassone. Lungi dall’essere una semplice ricostruzione storica, il libro assume talora le movenze di un’agiografia, che tuttavia non elude le questioni spinose e le asperita del carattere e dell’opera di Edwards. Ma se il volume ci fornisce da un lato un’immagine dettagliata del pastore di Northampton e dell'epoca in cui visse, ci mostra altresì un uomo, un credente che ha legato strettamente il continuo studio e approfondimento teologico al proprio cammino di personale santificazione, nel solco del calvinismo classico.

L'autore, lain Murray, non si limita però ad approntare un fedele resoconto biografico dell’esistenza di Edwards, ma fornisce anche dettagliate informazioni sulle sue numerose e poderose opere: il volume può anzi essere considerato, da questo punto di vista, un’ottima introduzione al pensiero di Jonathan Edwards, considerato da più parti il primo grande teologo e filosofo americano. Variegati appaiono essere stati i suoi interessi ed enciclopedica la sua preparazione, da lui tuttavia mai confusa con una erudizione fine a se stessa, ma sempre impiegata a edificazione dei credenti e a maggior gloria di Dio. Proprio questi fari guidano tanto la trattazione di argomenti complessi come la libertà del volere (On the Will, 1754) o la dottrina del peccato originale (The Great Christian Doctrine of Original Sin defended, 1758), quanto lo sviluppo di questioni più direttamente inerenti la pietà (nelle famose opere riguardanti il «Grande Risveglio» del 1740, e nei Life and Diary of Rev. David Brainerd, 1749).

Il libro che ci viene qui presentato non persegue, dunque, interessi di «antiquaria», ma ci esorta a ripercorrere le vie della tradizione che unisce noi, oggi, a Jonathan Edwards. Questo volume ci viene cioè proposto come strumento per uno studio che è anche sempre preghiera del credente che, approfondendo i contenuti della fede, cresce in essa. Si chiarisce così in quale senso si possa considerare questo libro come un'agiografia: propone alla nostra attenzione e riflessione l’opera di un santo, si, ma nell’accezione protestante del termine. Edwards si presenta a noi come un credente, teologo, pastore che, ben lontano dalla perfezione, ha tuttavia condiviso l’amore per la verità dell’Evangelo, ponendosi così non al di sopra di noi, ma al nostro fianco: un viator di altri tempi e luoghi che però anelava, come ogni credente in cammino, a Cristo.

Luca Baschera

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